La reclusione forzata prosegue senza interruzioni, unica eccezione l’ora d’aria che mi viene concessa dalla clemenza dei carcerieri.

La strada è deserta ma non è una novità, questo paese è sempre deserto, lo è a Capodanno come a Carnevale o a ferragosto.
Dopo appena un centinaio di metri imbocco il sentiero che si inerpica su per la collina.
La salita è ripida, ma non avverto alcuna fatica, Il cielo è azzurro e terso, nell’aria c’è un lieve odore di legna bruciata, proveniente dai camini delle case sottostanti.
Giunto in cima alla collina, posso nuovamente apprezzare ciò che fino a pochi giorni fa sembrava scontato, il sole, l’aria, le montagne innevate, le primule, gli alberi, le gemme sui rami, gli insetti, l’odore dell’erba tagliata.
Dopo alcuni minuti trascorsi a contemplare le colline circostanti, le cascine lontane, la chiesa del borgo più a valle e i vigneti, l’abbaiare di un cane mi ricorda che non posso soffermarmi troppo in questo luogo, pena una denuncia per reato di evasione, la delazione infatti è divenuta ormai l’hobby preferito dai vicini di casa.
Lontano, il cane continua ad abbaiare, nell’avviarmi verso casa, penso ai cani che ho avuto in gioventù.
Charlie, il mio primo cane e il più longevo, ben 16 anni di amicizia interrotta dall’iniezione letale di un impassibile uomo in camice bianco.
Briciola, una bretoncina pelle e ossa trovata vicino casa fra cumuli di rifiuti mentre cercava disperatamente del cibo per se stessa e per i cuccioli che portava in grembo e che non sarebbero sopravvissuti.
Enya, la cagnolina volante, la cui breve vita terminò sul freddo manto stradale dopo un volo di cinque piani.
A quei ricordi alcune lacrime scorrono sulle mie guance, nonostante il tempo trascorso da quelle vicende e la bella giornata di sole, non riesco a trattenerle e non avrebbe senso nasconderle dato che nessuno può vederle, e se anche potesse, avrebbe senso fingere di essere ciò che non si è?
Per questo motivo cerco sempre di essere coerente con me stesso e di essere d’aiuto a chi ha bisogno del mio aiuto. Cerco, non è detto che ci riesca.
Conosco però molto bene ciò che si prova a sentirsi soli, incompresi, vuoti, conosco il senso d’angoscia e lo sconforto, il peso di quel macigno che si forma nella gola e il bruciore agli occhi quando si è pianto molto.
So bene che il vuoto che uno si porta dentro, non può certo essere colmato con le buone intenzioni o con parole dette in modo superficiale.
Per questo, ho tanti buoni motivi per sentire la mancanza del mio lavoro, della scuola, dei miei colleghi, delle collaboratrici e soprattutto dei ragazzi, ne ho almeno 188 di motivi, tanti quanti sono gli alunni nella mia scuola, perché quella scuola dopo 5 anni che ci lavoro, la sento un po’ mia.
Con alcuni alunni ho un legame molto forte, sono quelli più fragili o che meglio di altri sanno comunicare le loro richieste d’aiuto. Altri invece, in apparenza sicuri e disinteressati ai problemi dei coetanei, sono in realtà ben più fragili di come appaiono ma non riescono a comunicare il proprio disagio.
In questo momento, mi mancano i ragazzi e le ragazze delle classi terze, perché li conosco da più tempo, perché conosco l’ansia che provano molti di loro, perché conosco la resistenza che alcuni di loro oppongono prima di aprirsi e la fatica che gli costa farlo, perché vederli ridere e scherzare, sbadigliare e spalmarsi sul banco, chiedere di andare ai servizi 10 volte al giorno e altrettante volte dare il buongiorno, fare gli scongiuri sperando di non essere interrogati, proporsi per un’interrogazione o per portare la borsa o dei libri a un docente, avvicinarsi a testa bassa per chiedere qualcosa che però poi non si fidano di chiedere, vedere i loro occhi brillare per un cioccolatino ricevuto, atteggiarsi ad adulti, bighellonare per i corridoi, staccare pezzi di merenda o prendere manciate di patatine da un compagno, chiedere di poter assemblare un robot, tenere il broncio per un voto insufficiente, guardare in continuazione l’orologio o qualsiasi cosa passi oltre la finestra.
Sarà che non ho figli, o forse vivo reminescenze del mio passato, non lo so… quello che so è che mi mancano, tantissimo.
Cari ragazzi e ragazze, anche se non leggerete queste righe lo scrivo ugualmente, mi mancate tanto.
Troppo, quanto non saprei quantificare, non perché io sia particolarmente buono o bravo, non lo sono affatto, sono un pessimo insegnante, un insegnante per caso, arrivato a scuola dopo aver svolto i lavori più svariati, ma soprattutto, sono un grande egoista, perché il mio grande vuoto, l’ho colmato con voi.

Adesso torno alla mia prigionia, rientro in cella in attesa del rancio, qualcuno ha portato della vodka e dei sigari, ma io non apprezzo i super alcolici e non fumo, spero che la prossima volta portino dei cioccolatini, mi ricordano sempre il brillare dei vostri occhi.

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