Sin dall’inizio della mia esperienza a Peveragno ho instaurato un bellissimo rapporto con gli alunni delle classi prime, è stato facile, addirittura naturale, poiché si tratta di bambini ancora relativamente piccoli, spontanei, puri, non contaminati dalle esperienze della vita e ancora aperti a molteplici visioni del mondo, realmente tolleranti, non come quelle del politicamente corretto imposto a suon di propaganda e censura dai grandi media che hanno asfaltato qualsiasi voce contraria o dissonante e seppellito la libertà di opinione, anche nelle nostre scuole.

Inoltre, avendo la fortuna di insegnare arte, ho potuto trattare qualsiasi argomento con un approccio ludico e scherzoso, stemperando così anche le situazioni potenzialmente ansiogene e stressanti, perciò, la conseguenza naturale è stata non solo avere degli alunni attenti e comunicativi, ma soprattutto degli alunni partecipi.
Alcuni di questi bambini, hanno manifestato un grande attaccamento nei miei confronti, hanno cominciato a regalarmi disegni con dediche e messaggi, usanza ancora consueta nella scuola primaria, ma non comune nella scuola secondaria, ma che mi fa immenso piacere e che genera empatia se non si ha la malsana idea di fermare o inibire queste manifestazioni spontanee di affetto e stima.
Devo ammettere che anche se provo grande affetto per loro, cerco di rimanere sufficientemente distaccato e questo mi costa enorme fatica, devo lottare con me stesso, violentarmi brutalmente per non essere coinvolto, o per meglio dire travolto, perché mi rendo conto di volergli un gran bene, ma non appena questa esperienza si concluderà e ormai manca meno di un mese, inizierà per me una nuova tragedia, l’ennesimo distacco, come avviene tutti gli anni, mi troverò nuovamente senza ossigeno, dopo aver respirato per un intero anno scolastico e nonostante le odiate museruole, quell’aria pura e cristallina che solo il contatto con questi bambini può produrre, una situazione come detto vissuta già innumerevoli volte, eppure a cui non riesco ancora ad abituarmi.

Talvolta questi bambini mi accolgono dicendomi che gli sono mancato, per me è inspiegabile perché alla loro età dovrebbero sentire la mancanza dei compagni con i quali non possono abbracciarsi, dello sport che gli viene precluso, degli spazi pubblici e delle giostrine che gli sono vietate, dei nonni ai quali sono legati ma che da essi rifuggono per timore del contagio, e di tutte quelle normali attività che prima della pandemia erano consuete nella vita dei fanciulli e permettevano loro di sviluppare la socialità, mentre adesso sono considerate pericolose e generano ansia e inimicizia.
In genere rispondo che anche loro mi sono mancati, ma il mio tono di voce non è naturale o spontaneo, ma controllato.
In reltà vorrei dir loro che non hanno neanche lontanamente idea di quanto mi sono mancati e quanto mi mancheranno nel prossimo futuro, ma chi mi crederebbe? Non sono mica figli miei, sono certo che tra un paio di mesi non ricorderanno più nemmeno il mio volto ed è giusto che sia così, ma sono altrettanto certo che li custodirò dove custodisco gli affetti più cari, così come custodisco il ricordo degli alunni che ho avuto in passato e che, come quelli attuali, non lo sospettano neanche lontanamente.

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