Una giornata splendida, il sole alto nel cielo azzurro, nessuna traccia di nuvole o velature, il mare calmo e cristallino, il suono delle onde che si infrangono leggere sulla battigia, i gabbiani che svolazzano intorno al faro, la spiaggia non più affollata ed io disteso sulla sabbia, con lo sguardo rivolto verso l’orizzonte. Sì, mi trovo al mare, ma in realtà sono altrove, nell’unico luogo in cui vorrei trovarmi.

Il mio pensiero, libero dagli impegni lavorativi, potrebbe approfittare di questa coda d’estate, per spaziare nei territori verdeggianti del rilassamento, saggiare le pure acque dell’appagamento, ho ricevuto tanti e tali attestati di stima e d’affetto, che dovrei ritenermi più che soddisfatto e restarmene sereno e consapevole a prendere il sole o a nuotare. Invece ho un’agitazione tale che le mie gambe non ne vogliono sapere di placare il loro moto perpetuo, nonostante io sia sdraiato sul mio telo mare, continuo a muovere le cosce come farebbe un bimbetto al suo primo giorno di asilo.

Alle mie spalle, la splendida villa in stile Liberty, sembra osservare i bagnanti, tra non molto saranno ultimati i lavori che la trasformeranno in un lussuoso hotel per facoltosi signori, ammesso che questi non sceglieranno una località più esclusiva per trascorrere le vacanze.

La splendida Villa Zanelli
La splendida Villa Zanelli

Perché questa agitazione? Per aver perso uno stipendio? Assolutamente no, sono in disoccupazione e per quanto possa essere bassa, per me è più che sufficiente per vivere dignitosamente, uno abituato a fare la spesa di una settimana con 30 euro, non si rattrista certo per una simile motivazione.
Per non aver ricevuto alcuna nomina? In parte sì, ma non esattamente.

Non desideravo infatti una nomina qualunque, desideravo “quella” nomina.
La cattedra di arte in quel di Peveragno.
Ho puntato tutto su quella cattedra, uno spezzone che negli anni, non ha mai interessato nessuno dei miei ambiziosi colleghi di materia.

Non l’ho ottenuta.
Come un bambino viziato, adesso faccio i capricci, piango e mi dispero, solo perché non ho ottenuto ciò che desideravo.
Ma un bambino, frigna per qualche minuto, o peggio per qualche ora, dopo si placa e pensa al prossimo oggetto del desiderio, giocattolo o golosità che sia.

Io invece non riesco ad accettare questa “perdita”. Eppure ci sono passato tante altre volte, non è mica la prima.
Per quale motivo funziono al contrario?
Ci farai il callo!“, me lo sono sentito ripetere innumerevoli volte, eppure sono 15 anni che faccio questo lavoro e del “callo” non vi è traccia alcuna.

A volte rimpiango il McDonalds, l’odore dell’olio e delle friggitrici, le scarpe anti-infortunistica, i clienti maleducati e cafoni, e perfino i manager altezzosi. Nessun rischio di affezionarsi ad una simile “ciurmaglia”, tant’è vero che sono diventato pure vegetariano dopo aver lasciato quel lavoro, e in tutta la mia vita successiva, sono entrato in un’unica altra occasione in un ristorante McDonalds, e solo per fare pipì.
Rimpiango la fabbrica, i turni massacranti a sollevare quintali di carta, a trasportare il solvente, a pulire le rotative di stampa, senza mai sedersi un istante dato che era vietato, e per meglio ricordarcelo, gli amministratori avevano eliminato non solo le sedie e le panchine, ma anche qualunque oggetto che si potesse utilizzare allo scopo.
Ricordo l’odore pungente degli inchiostri e la ruvidità della pasta lavamani, perennemente sporca d’inchiostro, i colleghi dalle facce più simili ad internati di Auschwitz che a degli operai salariati.
Anche lì non avrei potuto affezionarmi ad alcuno, gli unici momenti sereni che io abbia trascorso in quel lager, sono rappresentati dai fugaci passaggi notturni nel cortile dove erano collocati i serbatoi del solvente ricoperti di neve, a fare lo slalom tra le pozzanghere, con l’aria gelata che mi scuoteva dalla sonnolenza, che inevitabilmente i turni di notte provocavano,  il mio fiato che diventava condensa, la nebbia in cui i bagliori dei lampioni e delle luci di Natale delle case circostanti si fondevano, facendo apparire surreale tutta la scena, mentre l’ululare lontano di un cane, richiamava alla memoria fantasie tratte da un film horror.

Bagliori nella nebbia

Quando l’amministratore delegato venne a comunicarmi che avevo soddisfatto le aspettative aziendali (sarebbe stato difficile il contrario visto che lavoravo come un mulo), mi chiese come mi fossi trovato in quei due mesi di permanenza nella loro “grande famiglia”, con lo stesso atteggiamento ravvisabile nel maître che alla fine della cena chiede ai clienti se sono soddisfatti del vino, probabilmente aspettandosi di ricevere una risposta più che positiva.
Chissà per quale motivo, gli sfruttatori sono uguali in ogni parte del mondo, giacche firmate, cravatte e Rolex al polso, tutti tengono a farti sapere che farai parte della loro grande famiglia e da buoni filantropi, si prodigano per la comunità. Che quelle operazioni, nascondano in realtà astuzie atte ad eludere il fisco, è solamente una coincidenza.
Non sentendomi parte di quella famiglia, in cui forse avrei avuto il ruolo di cagnolino o ancora meglio di “zerbino”, lo informai che un operaio interinale era pur sempre un essere umano e che la schiavitù era stata abolita già da qualche secolo, lo ringraziai comunque per gli splendidi specchietti per le allodole, che come gli altri operai, avevo ricevuto in dono per Natale, il giornaletto aziendale con la foto dell’impiegato del mese, una bella confezione di olio Carli e un pandoro, anche se uno stipendio più equo sarebbe stato preferibile (prendevo 887 euro al mese, per lavorare 40 ore alla settimana e su tre turni). Il giorno dopo, l’agenzia mi comunicò che l’azienda non aveva rinnovato il mio contratto, come d’altronde mi ero augurato nel momento che decisi di esternare il mio pensiero, niente male comunque.

Un mese più tardi, il destino premiò la mia decisione con una convocazione in quel di Murazzano, la mia prima supplenza.

Un’esperienza che indirizzò i miei passi verso i ragazzi più fragili e sfortunati.
Non avevo idea di cosa facesse un insegnante di sostegno, sapevo solo che si trattava di affiancare dei bambini con disabilità, ma mi chiedevo come avrei potuto aiutarli visto che non avevo alcuna nozione di pedagogia, di psicologia e sulle disabilità.

Il mio battesimo del fuoco avvenne con l’assegnazione di due ragazzine frequentanti la classe terza, Marina e Jessica.
La prima presentava un ritardo mentale di media entità e Sindrome di Down, la seconda era affetta da spina bifida, patologia che la costringeva all’utilizzo della sedia a rotelle, oltre al medesimo ritardo mentale della compagna.

Marina e Jessica
Marina e Jessica, a.s. 2008-2009

Un esordio del genere ti offre due possibilità: ti impegni al massimo e con grande umiltà, cercando di non trasmettere i tuoi dubbi a questi bambini, che di rifiuti ne hanno collezionati a iosa sin dalla nascita, oppure ti rassegni all’idea che il compito è più grande di te e rassegni le dimissioni.
Nel primo caso, le soddisfazioni saranno enormi, nel secondo, sarai uno dei tanti che al sostegno ha preferito insegnare la propria materia, ma del contatto umano, della sensibilità e dell’empatia, doti essenziali nei rapporti con gli alunni, ne dovrai fare a meno per il resto della tua carriera.

Alla fine di quell’esperienza, in cui venni aiutato non solo dalla mia buona volontà, ma anche da una assistente alle autonomie (anche lei si chiamava Marina) che conosceva bene entrambe le bambine e che si rivelò un supporto insperato e fondamentale per il prosieguo della mia carriera, continuai infatti a fare sostegno per un totale di 12 anni, questo dovrebbe dare l’idea di quale dei due percorsi decisi di imboccare.

Solo recentemente sono venuto a conoscenza che Jessica è mancata nel 2018.

Quando incontro un ex collega, si finisce inevitabilmente per parlare dei nostri ex alunni, così ho scoperto che Jessica non c’è più, e la notizia mi ha profondamente rattristato.

Ricordo una bambina buona e sempre sorridente, dal forte accento calabrese, che amava gli scherzetti e colorare cornicette, che cercava costantemente il contatto con i compagni. Ricordo che i genitori, di umili origini e dal forte disagio sociale, non se ne curavano come avrebbero dovuto, come del resto facevano con gli altri quattro figli. La sedia a rotelle era troppo stretta e mezza scassata, mai sostituita da quando la bambina era alle elementari, così come molti dei suoi indumenti.

Il pomeriggio veniva parcheggiata sotto il portico davanti al bar che la mamma gestiva, se mi capitava di passarci davanti dopo un consiglio di classe o una riunione, Jessica se ne stava lì, assonnata e annoiata, ma si risvegliava di colpo, sperando che mi fermassi un po’ con lei.

Jessica e il pony
Jessica con il pony, gita allo zoo safari di Murazzano, a.s. 2008-2009

Prego e spero che la sua anima possa ora provare la gioia di corse forsennate su verdi distese, dove candide nuvole luminescenti e l’azzurro di un cielo amorevole, facciano da cornice, dove non esistono più sedie a rotelle, emarginazione e dolore.

I miei alunni a quest’ora sono in classe, saranno cresciuti e abbronzati, chissà quali acconciature avranno, chissà le risate, gli sfottò, le grida e gli schiamazzi all’ingresso questa mattina, chissà quante espressioni da zombie finché non si riabitueranno a svegliarsi presto al mattino. Immagino Leonardo e Raffaele arrivare come al solito di corsa, cinque minuti dopo il suono della campanella.
Quanto materiale avevo preparato nel corso dell’estate per loro, avevo programmato tutto nei minimi dettagli, e invece non avevo fatto i conti con lo stramaledetto algoritmo ministeriale.
Come possa un algoritmo assegnare cattedre a gente con uno o due anni d’esperienza e saltare chi di esperienza ne ha più di un decennio, non riesco a comprenderlo.
Un sistema che privilegia chi di gavetta non ne ha mai fatta e mai ne farà, invece chi ha già viaggiato in lungo e in largo per tutta la provincia e spesso anche oltre, si troverà, o senza cattedra, o per vedersene assegnata una, dovrà continuare a macinare chilometri e tempo.

Oggi li avrei dovuti rivedere, avrei raccolto i disegni realizzati durante le vancaze, alcuni certamente fatti ieri sera in fretta e furia, ma questo lo metto sempre in conto, sono stato anch’io fanciullo.
Avrei rivisto Francesca, Loris e Anastasya, gli alunni ripetenti la classe prima, ragazzini che per un motivo o per un altro, sono entrati prepotentemente nel mio cuore, volevo accertarmi che stessero bene e che avessero incassato il colpo della bocciatura senza troppo malessere, fiducioso che Francesca e Loris lo abbiano fatto, meno ottimista per quanto riguarda Anastasya, una ragazzina dalla grande sensibilità e dal talento smisurato per le arti figurative.
Non attendevo che questo giorno, ma di fatto non sono più i miei alunni.

Adesso andrò a farmi una nuotata, tra corsa, bici e nuoto (al lago finché ero in Germania) ho già riguadagnato il peso forma di 86 kg, considenrando che lo scorso aprile stavo pericolosamente riavvicinandomi ai fatidici 99 kg, è un bel risultato, peccato sia dovuto al solo fatto di dover correre per placare l’agitazione.

Sono le 11:03, a scuola i miei alunni staranno facendo l’intervallo, me l’immagino in cortile a mangiucchiare le loro merende o ad elemosinare le patatine del compagno, che ancora non ha imparato ad essere un po’ meno generoso e al quale resteranno solo poche briciole da gustare. Quanti intervalli mi sono goduto ad osservarli, quante volte hanno offerto anche a me patatine, biscotti, un mandarino o un pezzetto di pizza, oltre ai loro sorrisi.

Mi avvicino alla riva, mentre alcune belle signore mi passano dinanzi facendo sfoggio di bikini all’ultima moda, una di queste continua a voltarsi e sorridere nella mia direzione, io faccio altrettanto, ma con la malinconia che mi pervade, non sono sicuro che il mio sorriso sia convincente, comunque è tornato un po’ di buon umore.
L’acqua non è calda come avrei pensato, ma è comunque piacevole il refrigerio che ne deriva.
Anche se sto nuotando verso l’orizzonte, sono ugualmente altrove, non riesco a non pensare all’unico luogo in cui vorrei trovarmi.
Buon primo giorno di scuola, ragazzi.
Buon anno scolastico.

 

 

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