Da ragazzo, non vedevo l’ora che arrivasse l’estate a sollevarmi dalla fatica di dover studiare e dall’obbligo di dovermi alzare tutte le mattine alle 6.45 per prendere il dannatissimo mezzo di trasporto che avrebbe condotto me e mio fratello a scuola, uno sgangherato e vecchio autobus strabordante di esseri umani dagli odori più svariati.
Alla vista dell’autobus iniziavano gli scongiuri, si fermerà o proseguirà per la sua strada?
Non di rado l’autista del bus era costretto a proseguire il tragitto senza fermarsi perché a bordo non sarebbe più  potuto entrare neppure uno spillo.
Le persone in attesa alla fermata, cominciavano a fare gesti per invitare l’autista a fermarsi, ma non sempre i loro gesti erano cordiali, specie quando notavano che il mezzo non rallentava, l’autista sovente ricambiava la cortesia.

Io e mio fratello essendo giovani e incoscienti, eravamo sempre pronti a prendere l’autobus, che si fermasse o meno,  bisognava sempre sperare che il signore al quale ci aggrappavamo fosse ben disposto a darci una mano e quasi sempre lo era, porgeva il braccio e ci tirava su, ma una volta a bordo non mancavano le ramanzine.
Al ricordo di quei giorni non posso fare a meno di farmi delle risate, ma all’epoca non ero certo divertito. Alcuni di quegli “abbordaggi” si erano conclusi con piccoli incidenti, rovinose cadute  sulla schiena, legnate contro i pali dei lampioni, ginocchia scorticate e in un’occasione, fermati e redarguiti dalla polizia che però ci concesse l’onore di arrivare a scuola a bordo di una pantera.

Con l’arrivo dell’estate cessava quel supplizio mattutino, niente più scuola, niente più interrogazioni e soprattutto niente più autobus.
Iniziava la stagione della libertà, nella quale io e mio fratello ci dedicavamo alla sola attività che ci permetteva di goderne appieno il sapore, andare a zonzo con quegli amici con cui avevamo condiviso gioie e dolori del crescere “per strada”.
Sia io che il mio gemello eravamo (e lo siamo ancora) appassionati di cinema horror e l’estate significava anche Notte Horror, così si chiamava il ciclo di film che tutti i martedì in seconda serata, trasmettevano su Italia1 e che ogni amante del brivido attendeva con trepidazione.
Assistevamo a film come (attenzione, cliccando sui seguenti titoli è possibile vedere le immagini, ma siete avvertiti, sono abbastanza crude…):

In questi film, gli effetti speciali in computer graphics erano ancora da venire o erano alle prime sperimentazioni, in alcuni casi venivano realizzati in maniera rudimentale con lattice, plastilina, macchine della nebbia e altri banalissimi trucchi che al giorno d’oggi qualsiasi brufoloso poppante riuscirebbe a padroneggiare.

Ricordo il trailer del film “La mosca“, un film che, a dir la verità, a me non ha mai fatto paura, piuttosto faceva ribrezzo, almeno nella sequenza finale che non sto qui a spoilerare (svelare), il povero spettatore veniva avvisato da un annuncio tanto misterioso quanto perentorio e allarmante: “Non abbiate paura…  abbiate…  molta paura!” e bisognava averne… di coraggio per affermare ciò perché quel film non era per niente pauroso ma le strategie del marketing cinematografico sono spesso incomprensibili e il film si rivelò uno dei più popolari film dell’epoca.
Con questa premessa cosa voglio dire? Mah…

Il periodo che stiamo vivendo è qualcosa di molto particolare, di non facile definizione, sarei tentato ad utilizzare termini come sventura, catastrofe, tragedia, ma risulterei inopportuno, cosa dovrebbero dire allora le persone che hanno vissuto gli orrori della guerra, della dittatura, dei rastrellamenti porta a porta, della fame, della miseria, della privazione di ogni libertà, delle denunce fatte dal vcino di casa o dall’amico?
Epoche nelle quali si sognava il pane, mentre la tranquillità di una vita normale era un miraggio. Epoche che io non ho vissuto, fortunatamente.
Chi le ha vissute invece sà che la morte era una presenza costante come oggi lo sono i cuochi e i virologi in TV.
Per tale motivo non sarebbe corretto fare tragedie lì dove tragedie non ce ne sono.

Ma per i giovani e i bambini in particolare, che quei tempi li hanno solo studiati sui libri di scuola, o ne hanno ascoltato il resoconto più o meno romanzato fatto dalla TV o dal cinema, questo repentino cambiamento di abitudini, la costrizione al restare in casa, l’allarmismo creato (ad arte), l’informazione generalizzata fatta sui social, nonché quella procastinata a reti unificate con collegamenti in diretta da ospedali e obitori, con tanto di lacrime commosse del cronista di turno, atte ad aumentare i livelli già molto alti di panico, possono costituire un enorme disagio psicologico ancor prima che fisico o pratico perché rappresentano la perdita di ogni certezza.
Questa perdita di certezze, in persone che di certezze ne avevano ben poche, visto che gli adulti che li hanno preceduti, dall’alto della loro scienza e sapienza, hanno portato il mondo occidentale a livelli da Terzo mondo, può rappresentare un serio problema, con il quale ci si dovrà confrontare nel prossimo futuro.
Per tale motivo è opportuno analizzare l’attuale situazione in modo razionale e fidarsi SOLAMENTE dei numeri ufficiali per i quali invito sempre a visitare il sito dell’Istituto Superiore di Sanità, numeri ben diversi da quelli sbandierati dai TG, nei talk show e pubblicati sui nostri giornali, i quali hanno bisogno di terrore per poter vendere o fare audience, cioè per sopravvivere.

Molti alunni avevano già mostrato una certa preoccupazione determinata dal fatto di dover affrontare le prove Invalsi, gli esami e, si spera, il passaggio alla scuola superiore.
Alla comprensibile ansia verso il futuro, si aggiunge il peso relativo a quella moltitudine di cambiamenti fisici e psichici, quell’alternanza di stati d’umore che variano dall’apatia più totale alla voglia di spaccare il mondo, chiamata adolescenza.
In questo cocktail d’insicurezza e ansia si è aggiunta la ciliegina rappresentata dal coronavirus, scenario al quale nessuno poteva essersi preparato, eccetto il solito, onnipresente e disinteressato “filantropo”.
Abituati come siamo alle fantascientifiche pellicole cinematografiche, avremmo potute forse immaginare, se dotati di eccezionale fantasia, che, prima o dopo, una qualche guerra avrebbe coinvolto il nostro continente o il nostro Paese; che dei terroristi avrebbero fatto una serie di attentati; che gli UFO avrebbero finalmente fatto la loro comparsa polverizzando intere città; che una qualche epidemia avrebbe trasformato la popolazione umana in schiere di zombie affamati di cervello (merce assai rara di questi tempi…); che il cambiamento climatico avrebbe causato terremoti e tsunami che avrebbero seppellito le nostre città costiere; che dinosauri fuggiti da improbabili parchi divertimento avrebbero scorrazzato sul suolo terrestre a caccia di qualche tenero “boccone umano”.
Nulla di tutto ciò si è verificato, semplicemente è accaduto che un piccolo virus, uno come tanti altri che si sono alternati nel corso della millenaria storia della nostra civiltà, ha fatto la sua comparsa, causando purtroppo vittime soprattutto fra la popolazione più anziana che, come spesso accade, non godendo più di buona salute e con un sistema immunitario reso molto fragile dalle continue terapie farmacologiche e dalle pessime abitudini alimentari, si trova a dover combattere una “battaglia” fronteggiando un nemico ben equipaggiato, ma armati solamente di pistole ad acqua.

Per quanto questo possa dispiacere e causare tristezza, rientra nel naturale ciclio della vita: si nasce, si cresce, si diventa adulti, poi anziani, infine si muore. Certo sarà tremendo per i familiari di queste persone, come sempre lo è quando si vive un lutto.
Peggio, molto peggio sarebbe stato, se il virus avesse attaccato l’organismo dei bambini o dei giovani, in passato ci sono state epidemie molto più democratiche e per questo feroci che colpivano e uccidevano tutti, senza badare al sesso, all’età o al colore della pelle e si diffondevano con una velocità tale da causare il dimezzamento della popolazione di un intero territorio, stato o continente.
Utilizzando la razionalità, la paura torna ad una dimensione accettabile e si trasforma in timore, non condiziona più la nostra esistenza, ottimi in tal senso, sono i consigli elargiti a destra e a manca dagli immancabili esperti, psicologi, psicoterapeuti, psicopedagogisti, conduttori di talk show, scienziati, opinionisti, attori, cantanti, calciatori, influencer e da tutta la combriccola mediatica, purché a questi consigli faccia seguito un comportamento coerente degli adulti, altrimenti si cade in contraddizione e si causa disorientamento e maggiore ansia in chi doveva essere tranquillizzato.
Se per tranquillizzare i miei alunni dico loro “state tranquilli, non abbiate timore poiché il pericolo riguarda la fascia d’età compresa tra i 76 e i 90 anni, comunque persone già alle prese con diverse patologie gravi, come insufficienze renali o polmonari, cardiopatie o chemio/radiotrattati“, ma poi non faccio altro che guardare TG dalla mattina alla sera e rendicontare continuamente il numero dei deceduti, diventando paonazzo ogni qualvolta giunge alle mie orecchie la sigla di un notiziario, il suono di una sirena, o una notifica whattsapp, oppure continuo a dar credito al “sentito dire” riferitomi da parenti, amici, conoscenti e followers dei miei followers, sicuramente in buona fede ma, a loro volta, condizionati dal proprio vissuto, dallo stress e dalla onnipresente “paura”, allora trasmetto ai miei alunni agitazione e ansia, l’esatto contrario di ciò che mi ero preposto, tanto valeva dire loro lo stesso perentorio e allarmante messaggio del film La mosca: NON ABBIATE PAURA…  ABBIATE…  MOLTA PAURA!“.

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.