Dopo 7 anni di pendolarismo mi stupisco a scoprirmi ancora curioso, rimango un attento osservatore, ammiro il paesaggio che scorre velocemente fuori dal finestrino, studio le persone che incontro, quelle ferme sulle banchine in attesa del treno, quelle che salgono o scendono dalle carrozze e quelle sedute intorno a me.
A differenza di quanto fa la maggior parte degli altri pendolari che non presta attenzione a null’altro che non sia il proprio smartphone, oggetto che ha preso ormai il pieno controllo delle loro vite, a me interessano le persone, cerco di capire dagli indizi che esse mi offrono ad esempio dall’abbigliamento che indossano, dai bagagli che portano o dai libri che leggono, quali attività svolgono, da dove vengono, dove vanno, di che umore sono, un esercizio che si rivela molto utile per allenare la propria capacità di provare empatia e che fa vedere l’altro poi non così diverso da me stesso.
Certo c’è chi mostra sempre maleducazione e poco riguardo verso gli altri passeggeri, magari occupando i posti vicini con la propria borsa o giacca, oppure quelli che nel togliersi la giacca o nell’accomodarsi, colpiscono involontariamente il proprio vicino di posto con un gomito o con la punta della scarpa e dopo preferiscono far finta di niente anziché chiedere scusa, proprio perché l’abitudine a rapporti umani veri e non virtuali, ha reso molte persone incapaci di interagire con i propri simili.
CI sono poi quelli che per tutto il viaggio chiacchierano ad alta voce al telefono (che per quanto mi riguarda sono i più molesti), ma ci sono anche tante persone perbene che ancora mostrano educazione e buon senso.
L’adulto che oggi sono, talvolta cerca di imporsi mantenendo un certo discacco ma il ragazzo che è in me, è ancora un artista, ama il disegno e non si lascia sfuggire occasione per ammirare e immortalare un bel volto.
Disegnare non è un’attività molto adatta ad essere svolta su un treno in movimento, ma se non inizio ad abbozzare il volto, finisce che ne smarrisco i lineamenti e le caratteristiche, dopotutto è una questione di memoria visiva, perciò mi adatto e mi metto all’opera.
Talvolta capita che il soggetto noti una certa attenzione nei suoi confronti e non gradisca la mia insistenza nell’osservarlo, in genere però, è sufficiente mostrare il foglio con il disegno appena abozzato per placare gli animi e suscitare sorrisi compiaciuti.
Quando sono troppo stanco per disegnare leggo e se non riesco a leggere allora osservo il paesaggio e ascolto musica.
Frequentando le stazioni, mi capita d’incontrare degli ex alunni, alcuni m’ignorano totalmente, per quale ragione non saprei dirlo, immagino che rientro a pieno titolo tra le figure più odiate insieme a tutte le regole scolastiche, la maggior parte invece mi saluta e se il tempo lo consente si sofferma qualche minuto a chiacchierare, altri salutano quando sono da soli ma se sono in compagnia viene meno sia la vista che l’educazione… ma non riesco a condannare chi ho vistro crescere, seppur per breve tempo, voglio bene a questi ragazzi e queste ragazze, anche se loro lo ignorano.
Due volte alla settimana mi capita di uscire da scuola alle 14.00, in quei giorni devo effettuare un cambio di treno nella stazione di Fossano.
Tra un treno e l’altro ho una decina di minuti di tempo per cui cammino con calma diretto al binario, un binario scarsamente frequentato perché riservato alla littorina diretta a San Giuseppe di Cairo, un paese situato sul confine tra Piemonte e Liguria, la vettura è composta da appena tre carrozze.
Un giorno particolarmente freddo, sulle banchine non vi era presenza umana, il grosso dei viaggiatori era stipata al caldo nella sala d’attesa o al bar, ma c’è sempre qualche solitario che preferisce la tranquillità e la compagnia dei propri pensieri al chiasso e alla folla, fra questi “pazzi” certamente c’è il sottoscritto, anche perché non sopporto l’odore del fumo di sigaretta che in quel luogo abbonda nonostante i divieti.
Passeggiando avanti e indietro in attesa della littorina, noto una figura seduta su una delle panchine. Dalla distanza a cui mi trovo non so dire se è un uomo o una donna, se è giovane o vecchio, noto solo un puntino rosso che in quel grigiore umido di neve congelata è motivo di curiosità.
Pian pianino mi avvicino, chi sarà mai questo solitario così ardito, che come me preferisce starsene solo al freddo?
Più mi avvicino e più mi sembra di notare qualcosa di familiare.
La figura guarda nella mia direzione ma ancora non riesco a riconoscerne la fisionomia.
Non capisco se stia facendo una strana smorfia o se stia sorridendo.
Giunto a una decina di metri, capisco che quella falce di luna che noto sul volto è un sorriso, un sorriso che più mi avvicino e più è bello.
Adesso sono certo di conoscere quel volto anche se infagottato sotto quel cappellino di lana rosso non riesco ancora a capire a chi appartiene.
All’improvviso una voce rompe il silenzio, una voce che riconoscerei fra mille altre voci.
“Salve prof, cosa fa da queste parti?“
E’ Hajar, una mia ex-alunna dall’atteggiamento sempre impertinente, ma che in realtà dietro quell’atteggiamento nascondeva una fragilità dovuta a situazioni che nell’infanzia non dovrebbero essere vissute ma che la sorte a lei aveva purtroppo riservato.
Non posso dimenticarla perché l’ho sempre tenuta discretamente sotto il mio sguardo protettivo, e l’ho sempre tutelata durante i consigli di classe, anche quando i suoi atteggiamenti o risultati meritavano giudizi ben più severi.
Una testa brillante e una mente acuta, frenata da quella pigrizia congenita che non le faceva fare che il minimo indispensabile e spesso neanche quello.
Questa ragazza però ha sempre avuto un sorriso formidabile, capace di placare anche l’animo più irrequieto.
“Quello che fai tu, aspetto il treno” è la mia risposta.
Ma aggiungo subito alcune domande su come si trova nella scuola che ha scelto contrariamente a quanto le era stato consigliato dai docenti, una scuola che richiede enormi risorse mentali (e finanziarie) e un impegno costante, le prime certamente a suo appannaggio, il secondo è sempre stato il suo tallone d’Achille.
La sua risposta conferma i miei timori.
“Alla fine del primo quadrimestre ho dieci materie sotto”. Lo dice sorridendo come al suo solito.
La cosa mi preoccupa e non poco, soprattutto perché un eventuale fallimento non so a quali scelte potrà condurla, per cui mi limito a dirle quello che le ho detto per quattro anni, “la testa ce l’hai e io so quanto vali, cerca di capirlo anche tu e poi fallo vedere agli altri“.
Il mio treno è annunciato e una campanella comincia a suonare.
Nel salutarla, le faccio un grosso in bocca al lupo, vorrei darle un bacio sulla fronte e dirle che le voglio bene, ma il pensiero di ciò che ha subìto nella sua fanciullezza mi limita, perché non so quale potrebbe essere la sua reazione, non voglio ferirla nè spaventarla e nemmeno disorientarla, così con una scelta forse vile, non faccio nulla se non sorriderle mentre mi allontano.
Salito sulla littorina la vedo ancora, un puntino rosso su una panchina, il treno parte ed io con esso, ma il mio pensiero attraversa il finestrino in vetrocamera e corre nella sua direzione, si avvicina alla panchina e si accosta a lei lentamente, le stringe le spalle delicatamente e le da un bacio sulla fronte, arrivederci cara e impertinente Hajar, anche se non te l’ho mai detto, ti voglio bene.