Esattamente un anno fa, dopo una serie di inutili tentativi di cura che ne hanno addirittura peggiorato le già precarie condizioni di salute, veniva a mancare un carissimo amico, un fedele compagno nelle escursioni domenicali, un instancabile camminatore sui sentieri montani delle valli Cuneesi, nonostante gli acciacchi dovuti all’età che talvolta gli facevano perdere l’equilibrio, e la vista ormai offuscata dalla cataratta, era sempre presente, pronto ad aiutare chi aveva bisogno di aiuto e a donare amore incondizionato.
Quando conobbi Guglielmo, ad avere un gran bisogno di aiuto ero proprio io.
Ero nel pieno di una crisi esistenziale, il punto più basso toccato nella mia vita, un periodo in cui nella mia mente pensieri oscuri si alternavano a visioni della donna amata, visioni che non mi davano tregua, di giorno e di notte il pensiero fisso era lei e nei momenti di lucidità, quando la consapevolezza di non poterla avere diventava concreta, affiorava l’idea di farla finita, il suicidio come soluzione al problema del mal di vivere.
Da quasi un decennio non faccio uso di farmaci, scelta che pago con la derisione da parte dei conoscenti, ma che mi ha fatto guadagnare in salute (raffreddori e influenze sono solo un lontano ricordo) e risparmiare tanto denaro che prima finiva in ticket sanitari o in onorari di eminenti specialisti che però non solo non risolvevano i miei problemi di salute, ma non riuscivano neanche ad individuare la causa dei miei mali o a dare un nome alla patologia.
Una scelta partigiana che ho confermato con maggiore forza quando si è trattato di affrontare un problema serio come la depressione, bandendo l’uso di psicofarmaci, consapevole che, anche qualora avessero reso più tollerabile la tristezza e diminuito la frequenza delle crisi di pianto, mi avrebbero ridotto in uno stato semi-vegetativo, afflitto da stanchezza cronica, reso inadatto al lavoro, non più presente alla realtà, soggetto a continui sbalzi d’umore e con la certezza che a causa degli effetti collaterali, sempre molto importanti negli psicofarmaci, avrei procurato ulteriore danno non solo alla mia mente ma anche al mio corpo.
Ebbene in un periodo simile ho avuto la grande fortuna di incontrare delle persone speciali che anziché tenermi a debita distanza (un depresso non è certo una bella compagnia), mi hanno coinvolto ogni volta che potevano cercando di distrarmi dai pensieri che affligevano la mia mente e proprio grazie a loro, la mia collega Daniela, all’epoca insegnante di sostegno in quel di Cavallermaggiore e del suo compagno Federico, un ex archeologo oggi portalettere e ceramista di grande estro che conobbi Guglielmo.
Fu amore a prima vista, non poteva essere altrimenti.
L’aria bonaria, gli occhi imploranti coccole o un bella fetta di prosciutto, di cui Guglielmo era ghiotto, la sua testa che una volta accarezzata non si sarebbe più allontanata dalla mia mano.
Anche se l’ho frequentato solamente per un anno, il suo ultimo anno di vita, non potrò dimenticarlo perché un cane è un amico vero, la sua amicizia non la misura con i favori ricevuti.
Spesso si sente dire che il vero amico lo si vede nel momento del bisogno, probabilmente è così, io nel momento di massimo bisogno, ebbi la fortuna di farmi nuovi amici e fra questi Guglielmo, ma la bellezza dell’amicizia vera è che questa la si vede sempre non solo nel momento del bisogno e, come il vero amore, continuerà a esistere anche dopo la morte.

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