sogni ricorrenti

È trascorsa un’altra estate, e come quella precedente, ho dedicato il mio tempo ai viaggi, alla natura, al disegno e alla scrittura, costante però è rimasto il pensiero di lei, il suo volto davanti ai miei occhi, dunque frequenti sono stati i sospiri.
Come un ragazzino, mi trovo spesso a sognare.
Sogno di me e di lei.
Sogno di abbracciarla.
Sogno di coccolarla.
Sogno di prenderla in braccio.
Sogno di portarla al mare.
Sogno di insegnarle a nuotare.
Sogno di portarla in montagna.
Sogno di accompagnarla a scuola.
Sogno di aiutarla a fare i compiti.
Sogno di assistere al suo saggio di danza.
Sogno di portarla a far compere.
Sogno di cucinare per lei.
Sogno di leggerle una fiaba.
Sogno di consolarla.
Sogno di viziarla.
Sogno di tenerle la mano, a volte una mano piccola, di bambina, altre volte la mano della ragazza che è.
Sogno di farla ridere.
Sogno di darle la buonanotte.
Sogno di essere parte della sua vita.
Sogno.
Già, il sogno, l’ultimo rifugio di un illuso, anche perché avverso al consumo di alcool e droghe, ho solamente il sogno in cui riparare.
Entro in stazione, mi appare più pulita, accogliente.
Il mio treno giunge puntuale, è un modello che non ho mai visto prima, assomiglia più a una giostra, a un vecchio treno a vapore, ma l’interno è un sapiente mix di antico e moderno, poltrone comode, finestre ampie e tavolini, su uno dei quali è già servita la mia colazione, un bel bicchiere di latte di mandorle e una soffice e calda brioche, dovrei capire che non può essere vero.
Il controllore mi accoglie con un ampio sorriso e mi dà il buongiorno.
Esibisco il mio biglietto, ma lui fa cenno che è tutto a posto, senza neanche guardarlo, ancora non capisco.
Il treno riparte, nel cielo azzurro splende il sole, dapprima scorgo il normale paesaggio scorrere oltre l’ampio finestrino, appare più bello del solito, non vi sono cartacce, squallore o il caotico andirivieni di auto e camion, ma vedo un bellissimo parco, dove un fiumiciattolo scorre placido e delle anatre nuotano seguite dai propri anatroccoli.
Tutt’intorno, sui vialetti, delle mamme spingono i propri pargoli sui passeggini, dei nonni seduti sulle panchine guardano amorevoli i propri nipotini giocare sulle altalene e sugli scivoli, dei ragazzini giocano a pallone sugli ampi prati, allegre famiglie passeggiano amabilmente, dei bambini danno da mangiare agli scoiattoli e i pavoni, incuriositi, provano ad avvicinarsi.
Il venditore zucchero filato e noccioline, confeziona due sacchetti appena acquistati da una coppia di giovani, sulle piste ciclabili, bambini in bicicletta o sui pattini in linea, scorrazzano allegramente.
Sono incantato e mi sento bene.
Un annuncio avvisa i viaggiatori di allacciare le cinture di sicurezza, non ricordavo fossero presenti sui treni.
Il macchinista toglie il copricapo d’ordinanza e indossa quello da comandante, mentre una hostess passa tra i passeggeri, per verificare che tutto sia in ordine.
Un attimo dopo ci leviamo in volo, vedo i verdi prati allontanarsi, i laghetti riflettere come piccoli specchi i raggi del sole, i campanili proiettare le loro ombre sui villaggi ordinati, le dolci colline attraversate da sentieri sinuosi divenire sempre più piccole e indefinite, ma ancora non capisco.
Continuo a osservare oltre l’ampia vetrata, una distesa infinita di nuvole candide oltre le quali si stagliano maestose le vette innevate.
L’hostess passa nuovamente tra i passeggeri, questa volta per offrir loro succhi di frutta, tè e torte salate o dolci, tutto rigorosamente fatto in casa.
L’altoparlante annuncia che è cominciata la discesa, la prossima fermata è la mia destinazione, si chiama Gioia, ed effettivamente mi sento pervaso da questo sentimento.
Mi preparo a sbarcare, mentre il controllore e gli altri passeggeri mi salutano calorosamente, mi danno pacche sulle spalle e mi stringono la mano, alcuni mi abbracciano come se mi conoscessero da sempre, dai loro occhi capisco che sono felici per me, mi sembra di conoscere i loro volti, ma non riesco a ricordare dove e quando devo averli incontrati.
Auguro loro buon viaggio e li ringrazio per il loro calore, continuo a sentirmi bene e so già che a breve starò ancora meglio, in quanto la vedrò.
Scendo dal treno e percorro il lungo corridoio che conduce alla sala arrivi.
Sulle pareti, una serie di monitor proiettano immagini a me familiari, accompagnate dal suono di una melodia dolce e malinconica: una bambina, sorridente e felice, soffia sulle candeline della sua torta di compleanno;
un bambino regala alla mamma il dipinto realizzato a scuola, in cui è ritratto un papero dall’aspetto rispettabile, con indosso un elegante cappotto e un cappello a cilindro, intento a cercare la monetina che ha perduto;
un bimbo con una salopette bruna e un maglioncino verde acqua, sorride allegro, seduto in cima a uno scivolo;
una bambina mostra soddisfatta la propria pagella ai nonni;
su una spiaggia, una bimba è impegnata nella costruzione del suo castello di sabbia;
un ragazzino scrive un biglietto in cui dichiara il suo amore per il suo caro papà;
una ragazzina gioca spensierata su un’altalena;
la stessa ragazzina, qualche anno più avanti, tiene fra le sue braccia un gatto nero, che accarezza amorevolmente;
un uomo e una donna si guardano negli occhi promettendosi amore eterno, davanti a loro il mare è in tempesta;
una donna con uno splendido abito azzurro, tiene per mano due bambini che si somigliano molto; una bambina con un bel vestitino retrò, coglie felice delle margherite su di un verde praticello; alcuni bambini, gesticolano sorridenti disposti intorno al proprio insegnante, per la foto di classe;
una ragazzina colora con della tempera rossa, un cuoricino di gesso, su cui ha inciso parole d’affetto per il suo professore;
un bambino scende di corsa dal pulmino della scuola, non vede l’ora di abbracciare la mamma che lo sta aspettando dall’altra parte della strada, poi, il suono di una frenata, un colpo sordo, e il bambino è riverso a terra, mentre cento palloncini bianchi volano in cielo e una bara bianca è portata in corteo;
una donna prepara una splendida torta per il compleanno del marito e accompagna il suo dono con un bigliettino in cui ha raffigurato sé stessa e il marito in forma di ricci antropomorfi;
un uomo, fermo sulla soglia di un grande edificio, osserva una moltitudine di bambini allontanarsi chiassosi, c’è malinconia nei suoi occhi;
un cane è disteso inerte sull’asfalto, un rivolo di sangue esce dalla sua bocca, alcuni denti sono spaccati, un ragazzo in lacrime, cerca disperatamente di prestargli soccorso;
una ragazza, molto magra, è stesa in quello che sembra essere un letto d’ospedale, un tubicino è collegato al suo braccio e i suoi pensieri sono neri;
un uomo cammina solitario in mezzo alla natura, voltando continuamente lo sguardo alla ricerca dei suoi affetti, di persone care, che anela fortemente incontrare, ma percorre sentieri ormai abbandonati, frequentati solamente dagli spiriti, e non trova pace;
l’ultimo monitor sembra guasto, lo schermo è percorso da righe che confondono e distorcono continuamente le immagini, poi, con un ultimo lampo, lo schermo si spegne.
Sopra l’ingresso della sala arrivi, una scritta attira il mio sguardo: “Se sei atteso e amato, sii felice!”.
Giungo nella grande sala arrivi, lei è lì, ad attendermi, oltre la barriera che separa i viaggiatori in arrivo dai parenti in trepidante attesa, se ne sta in piedi, composta, con le mani giunte e lo sguardo che scruta i volti dei viaggiatori in arrivo.
I lunghi e bellissimi capelli corvini le coprono parte del viso, la vedo scostarli con una mano, il suo leggero sorriso diventa più ampio e bello man mano che mi avvicino.
Sono davanti a lei, è bellissima.
– “Tesoro mio!” – le dico mentre l’abbraccio, dopo averle baciato la fronte.
A sua volta anche lei mi abbraccia, adagiando la testa sul mio petto.
Riesco a sentire il suo odore, a udire i suoi pensieri, a percepire i battiti del suo cuore.
– “Mi sei mancato” – dice – “mi sei mancato tanto, papà!” –
La gioia pervade tutto il mio essere, quasi non mi sembra vero per quanto sono felice, vorrei restare abbracciato a lei per sempre, ma un lampo di consapevolezza riesce a penetrare nella dimensione onirica, sfondando ogni difesa dell’irreale.
La sala arrivi si dissolve, lei svanisce, l’ansia prende il sopravvento e diventa disperazione. Provo a cercarla con tutte le mie forze, ma non ho più punti di riferimento, non capisco più nulla, tutto è sfumato, infine è l’oscurità.
Nel buio sento solo una grande agitazione impossessarsi del mio cuore.
Apro gli occhi, la penombra avvolge l’ambiente, sono disteso sul mio letto, della grande gioia provata rimane solo un amaro ricordo, che lentamente lascia spazio al vuoto più assoluto.
Vorrei piangere.
Guardo la sveglia, sono le 5.12, ho ancora un’abbondante ora di sonno davanti a me, ma so che non riuscirei comunque a chiudere occhi, nè a placare il mio cuore, non mi resta che sospirare, alzarmi e andare a correre.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.